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Alla frontiera di Ventimiglia poco di nuovo

Chi era convinto o aveva sperato che la lontananza geografica della Riviera dei Fiori da Lampedusa l’avrebbe, nell’estate del 2015, posta al riparo dall’arrivo di una nuova ondata migratoria si è dovuto rapidamente ricredere. Gli accesi bagliori dei drammatici sbarchi sull’isola non hanno tardato a riverberarsi su Ventimiglia. Giovani uomini, donne e bambini di colore sono arrivati numerosissimi in stazione e hanno immediatamente trasformato corridoi, sale d’attesa e marciapiedi in bivacchi; altri gruppi si sono invece sparpagliati in città soltanto il tempo necessario per rifornirsi di generi di conforto e per ricaricare i telefonini tra l’indifferenza, la curiosità, gli sguardi impietositi della gente. Si sono  poi avviati speranzosi verso la frontiera di Ponte San Luigi in silenziosa e dolente fila indiana.

Le autorità francesi non hanno disposto la chiusura formale della frontiera, ma ordinato alla polizia di erigere una barriera umana così imponente da frustrare ogni tentativo di infiltrazione clandestina. Le stazioni ferroviarie francesi sono state poste sotto stretto controllo e i pochi clandestini che sono riusciti ad infilarsi fra le fitte maglie della rete di sorveglianza, sono stati facilmente riconosciuti, fermati e prontamente riconsegnati alla polizia italiana.

I profughi si sono rapidamente ritrovati una situazione senza alcuna via d’uscita e hanno allora deciso di accamparsi su un’ampia, piatta scogliera, l’ultimo fazzoletto di territorio italiano, per denunciare la loro disperata condizione. La nuova forma di protesta ha sortito l’effetto sperato: molte emittenti televisive e i principali quotidiani si sono prontamente accorti di loro. Per giorni una lunga fila di furgoni tutti uguali, con le antenne paraboliche che sbucavano dai tetti apribili ha sostato di fronte agli scogli. Telecamere e microfoni erano costantemente puntati sul colorato accampamento nella speranza catturare e trasmettere in esclusiva qualche notizia che facesse sensazione. In coincidenza con le edizioni notturne dei telegiornali, i proiettori illuminavano il silenzioso mosaico di tende, teloni e ombrelloni, nelle calde e umide notti di luglio.

Ci siamo dunque trovati a di fronte a una emergenza umanitaria senza precedenti?

No, alla frontiera di Ventimiglia purtroppo nulla di nuovo.

Che la “Porta occidentale” d’Italia sia storicamente interessata da fenomeni migratori lo aveva chiarito uno dei maggiori narratori liguri della seconda metà del Novecento: Francesco Biamonti. Nel suo romanzo forse più bello Vento largo (Einaudi, Torino 1991), all’autore sono sufficienti poche frasi per descrivere le caratteristiche fisiche e le diverse provenienze dei clandestini che si sono trovati a dover percorrere ciclicamente le antiche “vie del sale”.

Per tentare di uscire dall’impasse, all’ultima generazione di migranti non è rimasta altra scelta se non quella di avventurarsi sulle storiche vie dell’emigrazione le quali si sono nuovamente ricoperte di scarpe scalcagnate, stracci, borse prive di maniglie, rifiuti di ogni genere. Ai margini dei sentieri, i casolari diroccati sono ridiventati pietose stazioni di una moderna via crucis in cui, frasi scritte in un linguaggio a noi ancora più incomprensibile, si sono affiancate e talvolta sovrapposte alle vecchie.

Visto il perentorio rifiuto dei tassisti italiani a portare i migranti in Francia, chi tra loro possedeva ancora una riserva valutaria sufficiente si è necessariamente dovuto rivolgere ad una nuova generazione di passeur. Questi non sono più gente del posto, ma vecchi e recenti immigrati senza onore né professionalità stabilitisi sulla Costa Azzurra.

La notte caricano sulle loro vetture o su furgoni presi a noleggio gruppi di disperati in silenziosa attesa ai margini dei viadotti autostradali prossimi alla frontiera e, dopo aver evitato il posto di blocco francese di La Turbie, servendosi di strade secondarie raggiungono Nizza e li depositano nei pressi della stazione ferroviaria centrale, dove i migranti vengono immediatamente riconosciuti fermati. Dopo essere stati identificati vengono riaccompagnati in treno a Ventimiglia dai poliziotti francesi e consegnati ai colleghi italiani.

Ad un identico gioco delle parti la Riviera fu costretta ad assistere dal settembre del 1938 al dicembre del 1939 quando, per effetto dei provvedimenti razziali contro gli ebrei stranieri, più di 4000 persone furono costrette dal regime fascista a raggiungere Ventimiglia, da dove tentarono con alterne fortune di introdursi clandestinamente in Francia.

Non va dimenticato che in quei mesi a condurre gli ebrei sulle montagne e ad allontanarli furono i passeur in camicia nera della Milizia confinaria e che gli “scafisti e i trafficatori senza scrupoli” che traghettarono e depositarono centinaia di persone sulle spiagge francesi, erano  pescatori italiani che, loro malgrado, offrirono un comodo paravento al regime fascista. Se non si verificarono incidenti in mare fu soltanto perché i tempi della traversata erano relativamente brevi e il mare – nonostante fosse affrontato di notte – decisamente meno pericoloso.  La tariffa minima di decine di “viaggi della speranza” era allora fissata in una somma equivalente agli attuali 200 €uro.

Noto è anche l’ampio ventaglio di problematiche – compresa richiesta del riconoscimento dello status giuridico di rifugiato – che storicamente ogni immigrazione inevitabilmente pone al paese ospitante. Sorprende poi constatare come, in alcuni casi, gli articoli dei quotidiani di Nizza terminassero con una frase inaspettatamente attuale: l’Europa non può lasciare sola la Francia. Chi scrive ha raccontato questa vicenda nel volume Ombre al confine, (Fusta editore, Saluzzo 2014).

La storia dunque, seppur in forme diverse, è purtroppo destinata a ripetersi e la frontiera di Ventimiglia ne è testimone eloquente.

Spiace infine rilevare come, a soffrire di vistose evanescenze della memoria, oltre alla politica sia un certo giornalismo che appare impegnato nella sola ricerca di sensazionalismi. Quale numero di migranti accampati nella stazione o sugli scogli di Ventimiglia faccia notizia, par essere – unitamente alla loro forma di protesta – l’unico elemento di sostanziale novità in questa nuova, buia pagina dell’emigrazione. A renderla meno oscura e insopportabile sono sia la solidarietà sia l’aiuto materiale prestato ai migranti dalla popolazione locale che identico, lodevole comportamento tenne durante la lunga “emergenza umanitaria” causata dall’arrivo e dalla permanenza degli ebrei stranieri.

Paolo Veziano

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